È stato rilasciato online il primo trailer ufficiale di Jurassic World: La Rinascita, il nuovo film della saga di Jurassic Park diretto da Gareth Edwards e con protagonista Scarlett Johansson, che uscirà al cinema il 2 luglio.
negli anni, il pubblico ha visto i dinosauri molte volte. Li ha visti resuscitare dall’estinzione, fuggire e seminare il caos; li ha visti così spesso che lo stupore è stato sostituito da un’alzata di spalle. I dinosauri non ispirano più amore.
Così i produttori Frank Marshall e Steven Spielberg, che nel 1993 hanno stupito il pubblico con gli effetti visivi rivoluzionari dell’originale, hanno ritenuto che Jurassic World: La Rinascita dovesse puntare sulla paura. Dopo aver completato due trilogie di film, che insieme hanno generato miliardi di dollari al botteghino globale, hanno capito che un settimo capitolo avrebbe dovuto affrontare un rischio di livello superiore. «Ho sempre detto che gli effetti visivi sono fantastici, la CGI è un grande strumento, ma t’impigrisce perché sai che puoi fare qualsiasi cosa», racconta Marshall a Vanity Fair in una esclusiva anteprima. «Dev’essere pericoloso».
Questa è diventata la missione di Jurassic World: La Rinascita: «Sei in un luogo nuovo, non sai cosa c’è dietro l’angolo. C’è una giungla diversa, con più acqua, con scogliere più alte», spiega Marshall. «C’è un po’ di tutto ciò che fa paura». A questo si aggiunge una nuova serie di creature, progettate letteralmente per scatenare la lotta o la fuga.

La storia segue un’ex squadra d’assalto d’élite, guidata da Scarlett Johansson, Mahershala Ali e Jonathan Bailey, mentre si avventura su un’isola vicino all’equatore, un tempo sede del laboratorio di ricerca del primo Jurassic Park (1993). La squadra è incaricata di recuperare materiale genetico che potrebbe portare a una svolta medica per l’umanità, ma a tre decenni di distanza, gli errori commessi in quella struttura in rovina sono ancora visibili. Sono sopravvissuti e sono solo diventati più grandi. «Questi sono i dinosauri sbagliati. Hanno subito delle mutazioni», spiega Marshall. «Sono tutti stati creati sulla base di ricerche reali sui dinosauri, ma hanno un aspetto un po’ diverso».
Immaginate la versione da incubo dei giganteschi rettili che si sono evoluti naturalmente milioni di anni fa. Il regista di Jurassic World: La Rinascita, Gareth Edwards – noto per Rogue One: A Star Wars Story (2016) e la distopia sull’IA The Creator (2023) – ha attinto ai classici che hanno fatto gelare il sangue a generazioni di spettatori. «Quando crei una creatura, prendi un grande calderone e ci versi dentro i tuoi mostri preferiti di altri film e libri», spiega Edwards.
Le indiscutibili credenziali del regista sono già ben consolidate. Edwards ha ottenuto il suo primo grande successo con Monsters (2010), un film sugli invasivi titani alieni caduti sulla Terra, e ha poi affrontato il re dei kaiju distruttori di mondi con Godzilla (2014). Per Jurassic World: La Rinascita, le sue fonti di ispirazione per i dinosauri includevano anche alcune delle sue creature preferite: lo scheletrico Xenomorfo di Alien, il colossale mostro del dungeon in Il ritorno dello Jedi e il primo, terrificante antagonista di Jurassic Park di Spielberg. «C’è un po’ di Rancor lì dentro, un po’ di H. R. Giger, un pizzico di T. rex…», racconta Edwards.
La cosa che preoccupava di più Edwards era realizzare un prodotto all’altezza del suo predecessore, Jurassic Park, un film che secondo lui, nel corso degli anni, è stato mascherato da intrattenimento per famiglie. «Jurassic Park è un film horror nel programma protezione testimoni», afferma Edwards. «La maggior parte delle persone non lo vede in questo modo. Tutti lo abbiamo guardato da bambini. Ma io, a dire il vero, ero spaventato a morte quando ho assistito al cinema all’attacco del T. rex. È una delle scene meglio dirette nella storia del cinema quindi il livello di aspettativa è davvero altissimo verso chi sale a bordo e prova a rifarlo».
Lo sceneggiatore David Koepp (autore di Spider-Man del 2002), che ha adattato per il cinema il romanzo di Michael Crichton del 1990 nel primo Jurassic Park, è tornato alla fonte originale per ripescare una scena che aveva sempre sperato di utilizzare: quella in cui gli eroi cercano di attraversare una laguna su un gommone senza svegliare un Tyrannosaurus rex addormentato.

L’ingrediente finale, secondo Edwards, è fornito dal pubblico stesso: la paura istintiva di essere inseguiti e divorati. «C’è qualcosa di molto primordiale che è sepolto nel profondo di ognuno di noi», spiega. «Come mammiferi, ci siamo evoluti con questa paura dell’animale più grande che un giorno potrebbe venire a ucciderci o a minacciare la nostra famiglia. Nel momento in cui lo vediamo accadere sullo schermo, pensiamo: “Lo sapevo… Ci è anche andata bene per troppo tempo”»
La noncuranza era stato il più grande rischio per i primi esseri umani. Marshall attribuisce a David Koepp, che torna nel franchise cinematografico di Jurassic per la prima volta dal sequel del 1997 Il mondo perduto, l’idea di introdurre questo concetto in La Rinascita. «È stato lui a proporre questa idea: i dinosauri sono passati di moda. La gente è stanca di loro. Sono diventati un fastidio», dice Marshall. «Nessuno va più a vederli nei musei, né negli zoo interattivi per accarezzarli. Sono semplicemente d’intralcio. E il clima non è più favorevole alla loro sopravvivenza quindi stanno iniziando ad ammalarsi e a morire. Ma c’è un’area vicino all’equatore con il clima, la temperatura e l’ambiente perfetti per loro».
Questo porta a una scena in La Rinascita che richiama un’immagine iconica del primo Jurassic Park: il momento in cui il T. rex sfonda il centro visitatori, affronta alcuni velociraptor e ruggisce mentre uno striscione cade lentamente, rivelando la scritta «Quando i dinosauri governavano la Terra». Nel nuovo film, una scena simile ha luogo all’inizio, ma in un modo meno maestoso. «Beh, lo striscione cade di nuovo», rivela Marshall. «Jonathan Bailey interpreta uno scienziato in un museo che sta chiudendo definitivamente la mostra sui dinosauri».
Ma chi volterà le spalle ai dinosauri vivrà rimpiangendoli, anche se, probabilmente, non a lungo.

I film sui mostri sono spaventosi solo se il pubblico si preoccupa per le persone in pericolo. Jurassic World: La Rinascita introduce un trio di protagonisti interpretati da Scarlett Johansson, Mahershala Ali e Jonathan Bailey, personaggi con una missione genuinamente altruistica e competenze che potrebbero aiutarli a sopravvivere quanto basta per portarla a termine. «L’azienda rappresentata dal personaggio di Rupert Amico scopre un modo per curare le malattie cardiache», spiega Marshall, «ma per farlo serve il DNA dei tre dinosauri più grandi presenti sulla terra, nel mare e in cielo. Quei tre dinosauri esistono lì, dove furono creati per la prima volta, ma l’isola è una zona vietata».
Scarlett Johansson guida la spedizione nei panni di Zora Bennett, un’ex veterana delle forze speciali ora impiegata nel settore privato per missioni di evacuazione di civili in zone di guerra. L’attrice ha sognato sin da bambina di affrontare i dinosauri, un’ossessione nata con il primo Jurassic Park. «Ero davvero pazza per quel film e ho dormito in una tenda da campeggio di Jurassic Park nella mia stanza – che condividevo con mia sorella – per un anno intero», racconta Johansson. «Ogni volta che sui giornali si parlava di un nuovo film della saga, io giravo il ritaglio ai miei agenti scrivendo: “Ehi, io sono disponibile”».
Johansson ci era andata molto vicino nel 2020, quando ha lavorato alle riprese aggiuntive di un film Marvel in un teatro di posa britannico adiacente a quello di Jurassic World: Il Dominio. «Nello stesso periodo stavo girando Black Widow ai Pinewood Studios. Continuavo a dire: “Fatemi vedere i set! Voglio partecipare!”», racconta Johansson. Solo più tardi, durante un incontro con Steven Spielberg per discutere di possibili progetti futuri, il suo sogno sui dinosauri è finalmente diventato realtà.
«Non avevo mai avuto davvero modo di sedermi con lui e parlare di lavoro. Abbiamo passato ore a chiacchierare e recuperare il tempo perso, e poi, a un certo punto, dopo molte ore, lui ha detto: “Aspetta, dovremmo parlare di Jurassic. Mi dicono che sei una superfan”», spiega Johansson. «Gli ho risposto: “È assolutamente vero. Lo confermo. Sono una superfan sfegatata”». Però della tenda non gli ha detto niente. «Non volevo passare per una stalker di qualche tipo».
Ora se ne pente. Johansson ha accumulato molti bei ricordi di bambine vestite da Natasha Romanoff. «Ovviamente, con tutto il mondo degli Avengers, incontri tantissimi fan profondamente legati ai personaggi e all’universo di cui fai parte», racconta. «Lo capisco. È sempre meraviglioso incontrare persone così». Ripensandoci, forse avrebbe dovuto raccontarlo a Spielberg. «Ma in quel momento ho pensato: “Sii professionale. Non sembrare disperata. Non menzionare la tenda”».
Circa un mese dopo quell’incontro, Johansson aveva tra le mani la sceneggiatura di Koepp e stava già proponendo le sue idee per il personaggio. «Volevo solo capire quali fossero le sue motivazioni, che non fosse solo spinta dal denaro o dal potere. Doveva essere qualcosa di personale per lei», spiega. «I personaggi bisogna amarli e tifare per loro. Il film non può basarsi solo sui dinosauri».

Zora si è evoluta per essere più un’eroina con una missione che una mercenaria. «È una persona che ha dedicato la sua vita a salvare gli altri, ma credo che si trovi a un bivio professionale. È stanca, esaurita», spiega Johansson. Se tutto andasse secondo i piani, questa potrebbe essere la missione che le permetterebbe di ritirarsi dalle zone pericolose. «Ovviamente, tutto va storto… ma è questa la parte divertente», aggiunge con un sorriso.
Se Jurassic World Rebirth traccia una nuova direzione per il franchise, promette anche alcuni richiami all’originale Jurassic Park. Jonathan Bailey lascia intendere che il suo paleontologo, il dottor Henry Loomis, abbia un legame con l’intrepido dottor Alan Grant, interpretato da Sam Neill. «Ho sempre desiderato rendere orgoglioso il dottor Alan Grant», afferma Bailey. «Dovrete aspettare per scoprire quale sia esattamente il loro legame».
Il suo eroe professorale è in netto contrasto con il ruolo che ha recentemente consacrato Jonathan Bailey: Fiyero in Wicked, un personaggio tutt’altro che intellettuale, che nella sua iconica canzone Dancing Through Life si fa beffe della biblioteca e calcia via i libri. Il dottor Loomis ne sarebbe inorridito. Bailey spiega che il suo personaggio in Jurassic World Rebirth «sostiene grandi argomentazioni intellettuali ed emotive sul mondo naturale e su come noi esseri umani conduciamo le nostre vite».
A differenza degli altri, il dottor Loomis non è pronto al combattimento, il che lo espone a un rischio aggiuntivo sull’Isola dei Dinosauri Difettosi. Forse è fin troppo affascinato da loro e non abbastanza cauto mentre guida la squadra nel recupero del materiale genetico. «I suoi punti di forza sono la compassione, l’entusiasmo e la fame di conoscenza del mondo naturale», spiega Bailey. «Questa è la sua genialità, ma anche la sua rovina».
Parlando di estrazione del DNA, il nuovo film lo fa anche con quello di Spielberg, che ritorna come produttore esecutivo di Rebirth. «Per me, è come un film su un colpo grosso che mette insieme tutti i film di Steven Spielberg che ho amato crescendo», racconta Gareth Edwards. «I tre film attorno ai quali ruotavamo erano Lo squalo, Indiana Jones e lo stupore e la meraviglia del Jurassic Park originale».

Il personaggio di Bailey incarna lo spirito del dottor Jones in una sequenza mozzafiato ambientata su una scogliera vertiginosa, dove tenta di estrarre un fluido dalle uova di alcuni dinosauri volanti, descritti come grandi quanto caccia da combattimento. L’uovo stesso ha all’incirca le dimensioni dell’idolo dorato della celebre scena d’apertura de I predatori dell’arca perduta, il primo di molti film che Marshall ha realizzato con Spielberg. «Nella sceneggiatura originale si faceva solo riferimento a un nido su una scogliera», racconta Edwards. «Ma ci troviamo in America Centrale, e mi piaceva l’idea che in passato qui fosse esistita un’antica civiltà». Così, invece di una semplice caverna, ha trasformato l’ambientazione in «un antico tempio inca, abbandonato da centinaia di migliaia di anni. Inevitabilmente, nel momento in cui fai una cosa del genere, inizi a pensare: “Questo è molto Indiana Jones”».
Bailey sottolinea che la dinamica tra i tre protagonisti richiama un altro classico di Spielberg incentrato su un mostro: Lo squalo. «Proprio come ne Lo Squalo, si vede come tre persone reagiscono allo stesso livello estremo di lotta per la sopravvivenza», spiega. Il suo dottor Loomis ricorda il dotto oceanografo interpretato da Richard Dreyfuss; Johansson è la leader temprata dalla battaglia, simile al capo della polizia Martin Brody di Roy Scheider; mentre Duncan Kincaid, interpretato da Mahershala Ali, un esperto di logistica delle operazioni speciali che guida la squadra sull’isola, riprende elementi del marinaio brizzolato Quint, interpretato da Robert Shaw.
«Questa è la sua impressione, ma apprezzo l’osservazione di Jonny», dice Ali. «È un appassionato di cinema, uno con responsabilità nel mondo del cinema, ed è sempre alla ricerca di connessioni, smonta le cose e le seziona».
Ali potrebbe non aver pensato esplicitamente al personaggio di Robert Shaw mentre interpretava il suo ruolo, ma i parallelismi sono innegabili. Entrambi hanno un guscio duro, ma dentro portano cicatrici profonde. «Kincaid è un uomo che, a questo punto della sua vita, ha scelto di vivere fuori dai radar», spiega Ali. «Si trova in Suriname, ma è un grande amico di Zora e ogni volta che lei ha bisogno di gestire qualcosa in modo discreto, lui è sempre pronto ad aiutarla». Nonostante il suo spirito generoso, Kincaid ha vissuto certamente tragedie personali. «Alla fine, ha imparato a convivere con le sue ferite e sta cercando di fare del suo meglio con la sua vita».

La chiave per rendere memorabile un personaggio umano in un film di grande budget, dominato dagli effetti visivi, è trovare qualcosa di intimo da mettere in scena accanto alla pura spettacolarità, aggiunge Ali. «Fare qualcosa di così grande è decisamente un novità per me», dice il due volte premio Oscar per Moonlight e Green Book. «È una sorta di test personale: posso esistere in uno spazio tanto vasto, in qualcosa che è molto più grande di me e forse anche dei miei talenti specifici?». Ali riconosce la difficoltà di un’impresa del genere. «Penso che più grande è un film, più difficile sia farlo funzionare. Ma nello Squalo, in Jurassic Park, in Star Wars e in questi enormi blockbuster c’erano personaggi che risuonavano con autenticità, con un fondo di verità e uno scopo ben definito. Ed è questo che ha reso quei film degni di essere rivisti ancora e ancora».
Il suo obiettivo era rendere Kincaid un personaggio amato dal pubblico. «Sono entrato in questo progetto con la speranza di apportare qualcosa di speciale e vivace a questo personaggio, di dargli davvero energia e cuore», racconta Ali. «Con questi grandi blockbuster non è facile rendere tutto questo, perché è davvero difficile girare scene d’azione mentre fuggi via da una pallina da tennis o cose del genere».
Più le cose peggiorano sull’isola, più Kincaid diventa un personaggio con cui il pubblico può identificarsi. «Si presenta per lui l’opportunità di evolversi, perché stanno vivendo un’esperienza di vita o di morte. Vedono persone intorno a loro che se ne vanno, e questo cambia la prospettiva».
«Se ne vanno», potrebbe essere l’eufemismo più elegante mai usato per dire «divorati da lucertoloni giganti».
«È il mio modo educato per svelare che, in un film del genere, la gente muore, giusto?», ride Ali. «Non esiste una versione della sceneggiatura in cui tutti sopravvivono».
