The New Yorker ha dedicato un lungo speciale Marvel Studios, attraverso il quale ricostruisce la storia della compagnia con tanto di aneddoti raccontati da chi li ha vissuti in prima persona.
L’articolo fornisce uno sguardo approfondito al metodo di lavoro dietro ai film del Marvel Cinematic Universe, ritenuto piuttosto “problematico” da molteplici individui nell’industria. I registi alle prime esperienze con i Marvel Studios ricevono un documento di una quindicina di pagine contenente tutte le idee sviluppate nelle riunioni relative al grande mosaico della continuity.
Non è un dogma, ma un confine entro cui lavorare e che può essere messo in discussione. Il problema delle “divergenze creative” sorge quando un regista dice di voler tenere un certo approccio e poi lo cambia in corsa, in maniera non concordata al momento dell’ingaggio.
L’ingombranza dei Marvel Studios ad Hollywood
L’articolo del The New Yorker, ricco di testimonianze, è tutt’altro che una cronistoria di un successo. Il suo proposito, evidenziato anche nel titolo “Come il Marvel Cinematic Universe si è mangiato Hollywood”, è di raccontare come i supereroi abbiano drenato risorse ed energie al resto del cinema.
Il dibattito, come noto, ha ormai molti anni. Il primo fu Martin Scorsese, che definì i cinecomic come “dei parchi a tema, distanti dal cinema come espressione artistica”. Seguirono la sua voce parecchi colleghi registi (Quentin Tarantino e Ken Loach su tutti) in un dibattito a distanza tra autori, fan ed esercenti cinematografici.
Dopo la pandemia, invece, il modello di cinema in sala iniziò un lungo processo (non ancora terminato) di ripensamento. Sin dalla fine del lockdown si registrò una diminuita propensione all’acquisto dei biglietti per le produzioni d’essai.
I film d’autore stanno tutt’ora faticando molto a farsi strada al box office. Il pubblico interessato a questi film, generalmente più in là con l’età, risulta distante dalla sala. Diversamente i giovani, audience principale dei cinecomic, rappresentano una percentuale importante negli incassi annuali.
Il tema è duplice. Da un lato il cinema, soprattutto nelle esperienze su schermi premium, si regge grazie ai cinecomic. Dall’altro chi è rimasto indietro, cioè il cinema d’essai e le grandi produzioni d’autore, lamentano gli effetti di questo monopolio (o meglio, un oligopolio).
Uno stallo di cui sono consapevoli anche i Marvel Studios, la cui posizione si sintetizza con le parole di Christopher Yost:
Tutti stanno aspettando che la Marvel fallisca. Alla fine dei conti, però, stiamo solo cercando di fare il film che noi stessi vorremmo vedere.
La paura di una Hollywood ‘Marvel-centrica’
Oggi le argomentazioni critiche verso i Marvel Studios sono un po’ diverse. Se la convivenza tra generi e idee di cinema diverse appare possibile, ora l’accusa è di sottrarre talenti. Ne ha parlato Florence Pugh, lamentando che al momento della firma del contratto con gli studios “molti colleghi hanno storto il naso”, affermando che non sarebbe più riuscita ad alternare i blockbuster con i film indipendenti.
Dello stesso avviso è, probabilmente, anche Chris Hemsworth. L’attore aveva, in maniera un po’ sconsolata preso atto dell’opinione di Tarantino e Scorsese, affermando di pensare che l’aver interpretato Thor gli impedirà in futuro di lavorare con questi due registi per via della loro avversione a questo tipo di cinema.
L’articolo del The New Yorker usa come immagine quella dei “talenti risucchiati nel Regno Quantico dell’MCU”. Questo riguarda ogni generazione sottoposta a contratti pluriennali. Riguarda i più giovani ovviamente, ma anche attori ben navigati come Angela Bassett e Anthony Hopkins, che hanno battibeccato sul recitare davanti ad un green screen.
Ma cosa li porta ad accettare i ruoli? Sicuramente somme ingenti ma anche altro. Un agente che rappresenta molte star dell’MCU, interpellato, ha detto:
Ad un certo punto, vuoi essere rilevante. Il successo è la migliore droga. E in un contesto di star del cinema calanti nella loro rilevanza e nel potere, l’unico modo per restare in cima è trovare un personaggio iconico.
I registi indie chiamati nel mondo del blockbuster
Si considera problematico anche il caso di Chloé Zhao. Affermata autrice indipendente, si è lanciata nel progetto Eternals (2021). Ma se chiedere al cinecomic risorse infinite fosse l’unico modo che hanno gli autori per poter fare un film con un budget elevato?
Il direttore di uno studio rivale (rimasto anonimo) ha definito il Marvel Cinematic Universe come “la morte di tutto il cinema” affermando:
Il dominio dei film Marvel è servito ad accelerare l’erosione dei film di fascia media. Se le persone vogliono una commedia, scelgono di vedere Thor o Ant-Man.
E se la fetta di torta per i drammi adulti, più impegnativi, si è drasticamente ridotto al cinema, lo stesso si teme possa accadere in televisione. Lo spazio di libertà che ha generato brillanti serie tv sta venendo occupato dalla stessa logica da blockbuster (non solo Marvel, ma anche Star Wars o gli spin-off di Game of Thrones).
Anche la televisione di qualità si sta spostando su progetti legati alle grandi proprietà intellettuali. In altre parole: le reti tv e le piattaforme non chiedono più la prossima Mad Men ma il prossimo Il Signore degli Anelli, o lo spin-off televisivo di The Batman. E questo, per qualcuno, è un bel problema… a prescindere dalla qualità.