Dopo la deludente performance di X-Men le Origini: Wolverine (2009), la 20th Century Fox produsse Wolverine – L’immortale (2013), secondo film da solista dedicato al Mutante Artigliato interpretato da Hugh Jackman sin dal 2000. Nonostante non venga ricordato tra i migliori capitoli della saga cinematografica degli X-Men, il film diretto da James Mangold ha saputo reinventare la celebre run a fumetti di Frank Miller e Chris Claremont esplorando i problemi derivanti dal fattore rigenerante di Logan e il suo passato in Giappone.
Durante un’intervista con SYFY WIRE per celebrare il decimo anniversario dall’uscita della pellicola, la troupe ha raccontato alcuni retroscena inediti sulla realizzazione. Nel corso della discussione, il direttore della fotografia Ross Emery ha spiegato che l’intenzione del regista era di allontanarsi il più possibile dalle atmosfere della prima trilogia degli X-Men:
“[James Mangold] voleva discostarsi dal tradizionale mondo degli X-Men di Bryan Singer. Stavamo portando il personaggio in un nuovo ambiente inserendolo in una situazione molto meno da supereroi.”
Lo scenografo François Audouy aggiunge:
“Il concetto di un road movie crudo su Wolverine ambientato in Giappone era un’idea di forte ispirazione. Potevo immaginare che il lavoro mi avrebbe dato un’opportunità di approfondire le numerose sfaccettature della cultura giapponese. Le sfumature e l’unicità di questo soggetto rappresentavano una sfida sia stimolante che terrificante.”
Il regista James Mangold, intenzionato a trovare un’estetica che potesse mescolare le influenze sia dai film occidentali che orientali, prese in considerazione i western classici come Il texano dagli occhi di ghiaccio di Clint Eastwood e la filmografia dei leggendari registi giapponesi Akira Kurosawa (autore de Il trono di sangue e I sette samurai) e Yasujirō Ozu (regista di Erbe fluttuanti).
Emery continua:
“È come un film sui samurai. Era entusiasmante non realizzare soltanto un altro film degli X-Men fatto con lo stampino e aggiungere un altro strato alla narrazione.
Jim aveva creato un montaggio di immagini evocative: un mafioso della Yakuza, un primo piano estremo di un occhio sudante, un vicolo Shinjuku bagnato dalla pioggia e delle katane macchiate di sangue. Ebbi la sensazione che Jim non volesse soltanto che cercassi delle scenografie affascinanti, ma che fosse anche alla ricerca di un mondo che avrebbe elevato il sottotesto emotivo della storia.”