Immaginate di volere il taglio di capelli che avete visto sfoggiare ai vostri amici, un bel look alla moda fresco e moderno per voler diventare i più popolari della scuola o per far colpo sulla tipa che vi piace. Sareste sicuri che quel taglio vi starebbe bene?
Magari dopo il primo tentativo vi accorgete che a scuola non è cambiato nulla, e la tipa continua a non accorgersi della vostra esistenza. Dopo qualche mese tornate dal barbiere a farvi fare lo stesso taglio perchè in fondo, anche se non vi convince, è un look di tendenza… e ai vostri amici continua a stare bene.
Però voi non volete più stare all’ombra degli altri, no! Volete essere delle rockstar, volete il cinque quando entrate a scuola e volete condividere questi brividi con i vostri amici. E allora qualche mese dopo cosa fate? Continuate ancora a farvi lo stesso taglio di capelli? Oppure decidete di cambiare totalmente, chi se ne importa che la tendenza stabilisce dei canoni ben precisi, voi vi rasate completamente un lato della testa, dall’altro vi lasciate una ciocca lunga e una corta, le tingete una di rosso e una di verde e se c’è spazio perchè no…vi fate anche un dread.
Il giorno dopo dopo succederà? Sarete i più popolari della scuola? Sarete cool o sarete ad un punto ancor peggio di prima? Vi daranno un bel cinque o un bel pugno? La tipa si innamorerà finalmente di voi o vi riderà in faccia?
Voi sicuramente continuerete ad avere un cuore grande e tanto coraggio però probabilmente vi derideranno, qualcuno vi troverà simpatico, altri vi troveranno dei geni, chi lo sà. Quel che è sicuro è che si sono accorti di voi e da quel momento, in un modo o nell’altro lo faranno ogni giorno. Con questo cosa voglio affermare? Che la vita è tutta una questione di estetica? Ovviamente no, ma qui parliamo di cinema e sappiamo che oltre ad un grande cuore ci vuole anche tanta, tanta estetica.
Thor: Ragnarok sposa questa metafora in maniera a dir poco estrema, e nel bene o nel male è stato uno dei capitoli più discussi. Non solo della trilogia dedicata al Dio del Tuono, ma di tutto l’Universo Cinematografico Marvel, e sono alquanto sicuro che il taglio di capelli è la cosa che più definisce il cambiamento estetico di una persona e quindi una rottura con la propria immagine passata.
Il logo in fase di pre-produzione della pellicola vedeva un titolo tetro, avvolto dalle fiamme, che rifletteva le atmosfere dell’opera cartacea da cui esso è tratto, che a sua volta si ispira all’apocalisse omonima degli Dèi della mitologia norrena. Ma non è detto che tutto ciò che funziona sulla carta funzioni anche al cinema, soprattutto un cinema non più di genere ma che è diventato di portata internazionale il cui pubblico non ha particolarmente apprezzato i toni cupi del capitolo precedente.
Allora la Marvel chiama in cabina di regia il neozelandese Taika Waititi, cambiando totalmente rotta, cercando di dare al pubblico quello che vuole: cinema! Un cinema adatto a soddisfare ogni esigenza per un pubblico di ogni età.
Il pubblico vuole azione? Diamogli azione! Vuole divertimento? Perfetto diamogli intrattenimento e tante risate. Vuole l’avventura? Voliamo nello spazio! Vuole dramma, vuole anche lacrime e tanta morale. E Thor: Ragnarok, a differenza di quello che credono in molti, ha un cuore immenso e tanta morale, rivestiti da una bella dose di divertimento e azione.
Questa volta l’estetica della pellicola torna a mostrarci dei colori molto vivaci, quasi pacchiani se vogliamo. Prende tutto ciò che c’era di ottimo nel primo capitolo e lo esalta all’ennesima potenza, prime su tutto le meravigliose ambientazioni tratte direttamente dalle illustrazioni del mitico Jack Kirby, che qui prendono vita come non mai.
Dalle armature ai colori, e alle decorazioni sulle pareti, Waititi decide così di re-impostare il personaggio da capo dandogli una chiave di lettura differente, servendosi di un concetto narrativo già utilizzato in questo genere di pellicole ma giocando con il cambiamento interiore attraverso l’estetica.
L’espediente del quale si serve è la cosiddetta “destrutturazione” dell’eroe, ovvero privarlo di tutto ciò che lo rende iconico e decontestualizzarlo da ciò che sono i suoi canoni finora delineati. Non è un caso che uno smagliante Stan Lee taglierà i capelli al figlio di Odino durante uno spassoso cameo nella pellicola, e addirittura nella prima parte egli perderà il suo inseparabile martello. Ma personalmente queste sono le formule che adoro, e che secondo me rendono i film Marvel unici e pieni di stile.
Ciò a cui assistiamo all’inizio del film è probabilmente la battaglia più bella mai vista in un film sul Dio del Tuono, intento a combattere demoni negli inferi sulle note di Immigrant Song dei Led Zeppelin; sarò anche di parte, poichè sono un maledetto rockettaro, ma non esiste canzone più appropriata dato che il testo cita l’ascesa dei guerrieri al Valhalla guidati dal The hammer of the Gods il martello degli Dèi.
Thor (Chris Hemsworth) è perseguitato dagli incubi, nel sonno ha più volte avuto la visione del Ragnarok imminente, ovvero la fine di tutto e la distruzione di Asgard. Per cercare di impedirlo alla fine dello scontro strapperà la corona al sovrano Surtur, il demone che secondo la profezia brucerà e devasterà ogni cosa.
Credendo di aver impedito l’apocalisse, Thor fa ritorno ad Asgard, dove scopre che Loki (Tom Hiddleston) regna sotto le sembianze di Odino (Anthony Hopkins), come accennato nel finale del precedente capitolo. Insieme ad esso partirà alla ricerca del padre che scopriremo, grazie all’aiuto di Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), trovarsi in Norvegia.
Qui Odino appare calmo e sereno, vestito in giacca e camicia senza nutrire alcun rancore verso l’inganno di Loki; sa che quelli saranno i suoi ultimi istanti di vita, ma prima di andarsene rivela ai suoi figli l’esistenza di una sorella, la sua primogenita Hela (Cate Blanchett), Dea della Morte, che secoli prima aveva imprigionato nel regno di Hel.
La morte di Odino spezza così l’incantesimo che la tiene reclusa e, pochi istanti dopo la dipartita del padre degli Dei, Hela si manifesta davanti a Thor e Loki obbligandoli ad inginocchiarsi. In qualità di primogenita, ha ereditato il diritto al trono, e durante un brevissimo scontro essa distrugge il potente Mjiolnir.
Durante la fuga sul Bifrost la Dea della Morte scaraventa nel cosmo sconfinato i due fratelli, arrivando su Asgard ed uccidendo chiunque gli si rivolti contro. Hela si rivela al suo popolo e racconta di come Odino abbia infangato un passato fatto di conquiste e morte, la cui menzogna giace sotto splendore e palazzi dorati.
Una bellissima scelta che fa crollare il mito di Asgard, arricchendo la de-strutturazione sul quale la pellicola si fonda, sollevando dubbi e annientando tutte le certezze che per anni abbiamo avuto su queste storie e su questi personaggi.
Nel frattempo Thor e Loki sono precipitati, separatamente e in momenti differenti, su Sakaar, una sorta di pianeta-discarica governato dal folle eccentrico Gran Maestro (interpretato da un divertitissimo Jeff Goldblum), che presiede una gara tra campioni in una vera e propria arena di gladiatori.
Thor, catturato da Valchiria (Tessa Thompson) e consegnato come campione al Gran Maestro, sarà costretto a combattere nell’arena per poter essere di nuovo libero; proprio durante il suo primo combattimento, scopriamo che il suo avversario è niente meno che l’incredibile Hulk (Mark Ruffalo), scomparso dopo gli eventi di Avengers: Age of Ultron.
Egli è così felice di rivedere il proprio “collega di lavoro” e spera che col suo aiuto sarà facile poter ritornare a casa, ma il Golia Verde non accenna nessun entusiasmo ed è più ostile che mai rendendo lo scontro inevitabile. Thor per poco non vince l’incontro, che però viene manomesso dal Gran Maestro per far vincere Hulk, lasciando il povero figlio di Odino in condizioni di schiavitù.
In preda alla disperazione, Thor cerca di ripristinare i rapporti col suo verde amico e chiede aiuto a Valchiria per poter scappare e tornare a casa per fermare Hela. Nel frattempo Hulk, dopo oltre due anni, è tornato ad essere il gracile Bruce Banner grazie ai ricordi presenti sul Quinjet degli Avengers (con il quale egli è arrivato su Sakaar) e in particolare ad un video della Vedova Nera che serviva alla squadra per calmare il gigante di Giada.
Ritrovato il suo compagno, Thor mette insieme il quartetto dei Revengers insieme a Loki e Valchiria riuscendo a scappare dal pianeta per poter tornare finalmente a casa.
La squadra arriva così su Asgard ma Thor crede di non essere abbastanza forte per fermare il potere di Hela, e infatti dopo un rapido confronto (che gli costerà un occhio) con essa nella sala del trono, giace sfinito e senza forze. Ed è proprio in questo istante che egli avrà un dialogo in una visione con suo padre Odino, il quale gli indicherà la via per sconfiggere la sorella e per sfruttare al massimo il suo potere anche senza il martello; Asgard non è luogo, è un popolo.
Grazie a queste parole Thor capisce che l’unico modo per fermare la Dea della morte è provocare il Ragnarok, evacuando il popolo e distruggendo Asgard insieme a lei.
Così, dopo un’epica e memorabile battaglia finale sul Bifrost tra gli asgardiani e i morti risvegliati da Hela, Loki giunge nella stanza dei tesori di Odino per prendere la corona di Surtur (che Thor aveva ucciso all’inizio del film) e resuscitarlo grazie all’ aiuto della fiamma eterna. Il demone si risveglia e avvolto dalle fiamme si abbatte su Asgard radendola al suolo, uccidendo Hela e compiendo così la profezia.
Il popolo è salvo a bordo di varie navicelle spaziali e dovrà trovarsi ben presto una nuova casa per poter ripartire ma non sarà così semplice poichè alla fine del film, un’ombra si innalza davanti a loro: è Thanos.
Il bello della de-strutturazione è che anche se avete smontato tutti i pezzi sapete che alla fine in un modo o nell’altro torneranno insieme, e anche se Thor ha perso il suo martello e non ha più i capelli lunghi, anche se si crede che la pellicola abbia snaturato molti elementi dell’opera originale, Thor: Ragnarok di Taika Waititi è il capitolo sul Dio del tuono che più rispecchia la vera anima del personaggio e che imbriglia al massimo lo spirito Marvel di Stan Lee e che non si limita, come alcune pellicole dell’MCU, a svolgere il compitino per accontentare i fan. Ecco perchè credo che questo genere cinematografico deve andare incontro alle esigenze del grande pubblico, non dei nerd tradizionalisti.
Hemsworth appare per la prima volta estremamente convinto del suo ruolo e gli si legge in viso quanto sia divertito da esso, grazie anche al fatto che insieme a Waititi ha lavorato sul dare a Thor un carattere molto più personale e meno accademico. Ruffalo è un attore strepitoso che in ogni pellicola Marvel dona al personaggio di Hulk/Banner una continua evoluzione, dal meraviglioso dualismo sofferente e combattivo del primo The Avengers fino alla convivenza insieme alla sua maledizione che arriverà ben presto ad accogliere in maniera totale.
Hiddleston è ormai impeccabile nei panni di Loki e addirittura qui svolge quasi un ruolo di spalla comica di Hemsworth proprio come nei migliori action/comedy degli anni ’80, dei quali il film è pieno di riferimenti. Nonostante un ruolo leggermente più canonico, anche la Hela di Cate Blanchet non è il solito villain pupazzo privo di anima e spessore, anzi le sue ragioni sono più che lecite visto che è stata esiliata ed imprigionata da un padre che ha costruito un’impero nato dal sangue. E poi c’è il Gran Maestro di Jeff Goldblum che sembra recitare nei panni di sé stesso in quella che è la performance più divertente di tutto il film.
Insomma, ne ha fatta di strada Thor dal primo capitolo di Kennet Branagh del 2011, che nella sua semplice e oserei dire ingenua purezza era un film molto più intimidito dal giudizio di un pubblico che non aveva mai affrontato e che invece adesso può fare a testa alta senza timore di prendersi rischi, ora che i Marvel Studios sono decisamente inarrestabili!