Spider-Man è sicuramente il personaggio più amato e conosciuto della Marvel; tramite lui Stan Lee e Steve Dikto sono riusciti a creare il prototipo del supereroe dal volto umano in cui i lettori adolescenti di allora si potevano immedesimare, un ragazzo, studioso e intelligente, che affronta le difficoltà di tutti giorni tra la scuola e le disavventure amorose.
Il personaggio negli anni si è evoluto e maturato, il Peter Parker adulto è molto più sicuro di sé e si è lasciato alle spalle il ragazzino occhialuto degli esordi, ma rimane sempre molto semplice e umano, vivendo la sua New York come parte integrante delle sue storie.
Quando alla vigilia dell’uscita nelle sale di Captain America: Civil War fu annunciato che i Marvel avevano raggiunto l’accordo con la Sony Pictures, che ne detiene i diritti cinematografici, per portare il l’amichevole Uomo Ragno di quartiere nell’Universo Cinematografico Marvel, molti fan (tra cui il sottoscritto) hanno esultato.
Il breve momento in cui Spidey sottrae lo scudo a Captain America ha rappresentato un momento epocale. Ma insieme all’entusiasmo si è fatta strada la preoccupazione di come il personaggio tanto amato sarebbe stato proposto, o meglio riproposto.
A partire dal 2002 Spider-Man era già stato protagonista di tre pellicole dirette dal regista Sam Raimi, un successo inconfutabile con un terzo capitolo stanco e confuso che non riuscì ad eguagliare le precedenti. Nel 2012 la Sony tentò un reboot con The Amazing Spider-Man e il suo seguito; i due cinecomic presentavano un Peter Parker molto diverso dal personaggio dei fumetti, non più il “secchione”, ma un ragazzo che, benché molto intelligente, manifesta un carattere problematico ed irrequieto. La prima pellicola ebbe un discreto successo ma il suo sequel, senza riuscire ad indicare una direzione precisa per il proseguimento del progetto, decretò la fine di quello che nei piani della Sony doveva essere un universo condiviso concorrente al MCU.
Con tali premesse il timore che un nuovo Spider-Man non riuscisse a trovare il proprio posto all’interno della saga cinematografica non era del tutto infondato. Le cose fortunatamente sono andate diversamente, vediamo perché.
Innanzi tutto si è rivelata vincente la mossa di introdurre l’Arrampicamuri come ospite in un film che di per sè, al di là del titolo, è un crossover, invece che farlo esordire in un film a lui dedicato. Ciò ha reso possibile glissare del tutto sulla genesi del supereroe, già raccontata ed entrata ormai nell’immaginario collettivo, che rischiava di annoiare il pubblico.
E non è un caso che a prenderlo sotto la propria ala protettiva sia proprio Tony Stark, uno dei personaggi sicuramente più riusciti del MCU e interpretato da Robert Downey Jr.. Come Tony funge da mentore a Peter, così Downey ha svolto un ruolo simile per Holland.
Azzeccata è la scelta del giovane Tom Holland nel ruolo da protagonista, salito alla ribalta col film The Impossible e già apparso al fianco di Chris Hemworth (il nostro Thor) in Heart of the Sea. Il talentuoso attore è riuscito a bilanciare le caratteristiche del personaggio rendendo credibile il giovane adolescente impacciato, ma sapendo anche interpretare il ruolo dell’eroe.
L’Uomo Ragno che ci viene proposto nell’MCU è una versione del tutto inedita, una rivisitazione che ricorda per certi versi l’operazione di riscrittura del personaggio vista con la creazione di Miles Morales in Ultimate Spider-Man, ad opera di Brian Bendis e Sara Pichelli.
Anche i comprimari sono profondamente stravolti; l’anziana adorabile zia May, diventa la giovane ed energica zia interpretata da Marisa Tomei, che non disdegna le attenzioni galanti di Happy Hogan; chiaramente non viene menzionato direttamente zio Ben, ma la sua presenza viene lasciata intuire da numerose frasi pronunciate dai due protagonisti.
Il personaggio che più di tutti lascia sbalorditi è però quello interpretato da Zendaya, che per tutta la durata di Spider-Man: Homecoming, apparirà all’improvviso al cospetto di Peter e dell’amico Ned con battute sagaci e solo sul finale rivelerà il suo nome: Michelle “MJ” Jones (invece del classico Mary Jane Watson).
Alleggerito il personaggio dai pesanti traumi che segnano la genesi della controparte cartacea, ci troviamo di fronte un Peter Parker che cerca di gestire i poteri acquisiti e che nonostante gli inviti alla cautela del suo mentore Tony Stark non riesce a mantenersi lontano da nemici superiori alla sua portata.
Come dicevamo qui non c’è nessuno zio Ben, nessun “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, ma questo non vuol dire che non ci sia una lezione alla responsabilità e una presa di coscienza di cosa voglia dire avere il potere di aiutare gli altri. Sarà proprio Stark ad impartirla; alla fine di Homecoming Peter dimostrerà di averla imparata ed anzi sbalordirà il suo maestro rifiutando la proposta di entrare a pieno titolo negli Avengers riconoscendo di avere ancora molto da imparare e dimostrando una maturità inaspettata.
Due eventi più di tutti gli altri hanno condizionato le scelte del personaggio dei fumetti e sono parte della sua formazione: il primo è la morte dell’amato zio Ben che Peter causa, se pur indirettamente, venendo meno alle responsabilità che derivano dai propri poteri, poiché non sventa la rapina che si consuma davanti ai suoi occhi. Questa vicenda nella sua psiche si traduce nel doversi riscattare utilizzando i suoi poteri per il bene comune, per esorcizzare la propria colpa. L’altro evento traumatico è la morte dell’amata Gwen Stacy che insegna a Peter di essere un rischio per i propri cari una volta che la sua identità venga scoperta.
Sul grande schermo Peter fin da subito trova in Tony Stark la figura paterna che tanto gli manca e la sua perdita alla fine di Endgame sostituisce il lutto per la morte dello zio, ma con una differenza fondamentale: se nel fumetto il motore della presa di coscienza della responsabilità derivata dal potere è il senso di colpa, nell’universo cinematografico è l’esempio di Tony che dimostra a Peter cosa voglia dire accettare le responsabilità derivate dal proprio potere; Tony infatti non si esime dal fare la cosa giusta nonostante ciò voglia dire perdere la propria vita.
Anche il tema della protezione della propria identità viene affrontato nella versione cinematografica. Nel finale di Homecoming Peter scoprirà che Adrian Toomes alias Avvoltoio, il grande villain del film, è in realtà il padre di Liz, la ragazza da lui invitata al ballo scolastico.
Il rapporto col personaggio interpretato da Michael Keaton per alcuni aspetti ricorda quello con una figura paterna. Peter infatti cercherà di redimere Toomes senza riuscirvi, ma infine gli salverà la vita. Toomes ripagherà la fiducia mostratagli da Peter mantenendone segreta l’identità.
In Far From Home la perdita di Tony, insieme allo spaesamento derivato dal ritorno alla propria vita dopo cinque anni di assenza, portano Peter a cercare nella figura di Mysterio (alias Quentin Beck, interpretato da Jake Gyllenhaal) un sostituto del proprio Mentore; l’uomo approfitterà di questa debolezza per farsi consegnare gli occhiali lasciatogli da Tony, che controllano l’intelligenza artificiale E.D.I.T.H. e un sistema multimilionario di droni da difesa.
Il momento in cui Peter consegna gli occhiali a Beck simboleggia l’elezione dell’uomo a suo mentore da parte del giovane eroe. La fiducia si paleserà poi mal riposta, ma Peter riuscirà a recuperare gli occhiali di Stark e capirà di essere lui a dover raccogliere l’eredita di Iron Man. Anche stavolta la storia ruota intorno al potere che deriva dagli occhiali e la responsabilità che ne consegue. Anche stavolta il rapporto col villain di turno è molto particolare e sfaccettato, ma a differenza di Toomes, Mysterio con un colpo di coda finale rivelerà l’identità di Spider-Man al mondo intero.
Da questa rivelazione prenderanno il via gli eventi del terzo film dedicato al tessiragnatele. Spider-Man è quindi entrato a pieno titolo nel MCU, e finalmente il personaggio è riuscito a imboccare un percorso di crescita che promette di portarlo alla maturità.